Caro Ghigo, tutti al Foro Italico! Cosa ne facciamo di altri alberi?

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—lP—

di Jori Cherubini

Ciao Ghigo,

mi dispiace ma stavolta non sono d’accordo. La Postilla più che seguire una linea politica ci tiene a dare voce a tutti, specialmente agli amici del giornale. A chi, ben sapendo le nostre mille difficoltà, comunque ci dà una mano o ci supporta moralmente. Quindi può succedere che compaiano pareri diversi o discordanti. In fin dei conti è il sale della democrazia.

Orbene. In riferimento all’articolo di Antonio Pacini sulla Pineta, condito dalle dichiarazioni fumine e nostalgiche di Ghigo Alighiero Palazzo, mi sento costretto a replicare. Ghigo viene in vacanza ad Abbadia da un sacco di lustri. Quasi sessant’anni. Ha tutto il diritto di dire la sua e di rivendicare il diritto alla nostalgia. E ci mancherebbe.

Ma guardiamoci negli occhi. Esisteva, o esiste, un’alternativa al piano presentato a marzo? No. Il progetto sembra valido, validissimo. Paragonare la piccola e selvaggia pineta di Abbadia agli 80 ettari maestosi e pieni di attrattive artistiche di Villa Borghese è ingiusto, soprattutto nei confronti della Villa. Innanzitutto ci mancano “i casini”, il Tempio di Diana, L’orologio ad acqua, il Giardino del lago (portato in auge da Nanni Moretti), la fontana dei cavalli marini, e via dicendo. Poi, a Villa Borghese esistono una varietà di piante e vegetazione sterminata dovuta anche al clima mite che noi ci sogniamo. Non si può paragonare quel ben di Dio e arte alle pericolose conifere di Abbadia. E continuare con i paragoni sarebbe impietoso, meglio finirla qui.

Da aggiungere che un parco boschivo o botanico può avere senso in una città come Roma, dove tutto intorno è un ronzare ininterrotto di motorini e clacson e il parco si fa oasi e l’oasi si fa magia. Meno senso se costruito dentro un paese di montagna circondato da boschi com’è Abbadia, dove a uno sparo di fionda iniziano infiniti ettari di castagni, ancora conifere (buie e tenebrose) e poi i meravigliosi faggi, unici in Europa per densità e meraviglia.

Il nostro Antonio citava le radici, intese come tradizione, il ricordo, l’identità, e nel suo articolo scriveva i motivi per cui quei pini erano stati piantati. Ebbene, l’esercizio della memoria può avere luogo anche senza un boschetto, anche senza piante. Basti impiantare in luogo della pineta un obelisco, una statua, una targa, un memoriale, come d’altra parte accade nelle città. Non è che tagliando il bosco sparisce la memoria. Anzi, nel bosco il ricordo volteggia in aria. Si rende flebile, annaspa e infine sparisce. Con un punto fisso, come l’imperiale Monumento ai caduti (vedi cartolina d’epoca), voluto da un comitato costituitosi ad hoc e inaugurato da Benito Mussolini, la memoria saprebbe dove aggrapparsi e rigenerarsi. Si saprebbe dove posare una corona d’alloro in onore e in ricordo delle gloriose vittime nostrane.

Da aggiungere che “il foro” andrebbe incontro a chi vede – o meglio: vedrebbe – in Abbadia un polo di rilievo per il turismo sportivo. Se non vogliamo la geotermia (la maggior parte dei badenghi, per quel che so, è ancora contraria) non possiamo che muoverci verso l’innovazione, la costruzione, e implementare i servizi turistici tramite infrastrutture moderne che ne amplifichino l’attrattiva.

Circa il discorso alla Colonia, altro posto storico, per quel che ho appreso (di recente ho avuto modo di parlare con un esperto boscaiolo che preferisce rimanere anonimo), i castagni andavano tagliati esattamente in quel modo, altrimenti rischiavano di morire, rinsecchiti e malaticci. Segarli a metà, per quanto in effetti poco gradevoli alla vista (sembra un campo vietnamita post battaglia), era un atto dovuto: così ricacciano, ricrescono e continuano a vivere.

Non cediamo alla nostalgia, caro Ghigo. Nessun referendum, ché chi ha il potere, chi comanda per mandato pubblico, è chiamato a svolgere il duro compito della decisione. A costo di scontentare la minoranza. Al contrario. S’avanzi decisi verso la rinnovazione capillare del paese. E un bel parco, anzi un bel “foro”, se costruito per il bene pubblico e con lungimiranza, ha il suo perché; mentre degli alberi, di altri alberi, caro Ghigo, cosa ce ne facciamo? Un saluto caro.

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