Rap U.S.A., astinenza da Facebook e Concilio Vaticano II

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di Giovanni Fabbrini

Ascolto un disco del 1998 del rapper Xzibit; tra poco sicuramente mi godrò qualche scena di un film americano del 2002 con Josh Hartnett, cinque e mezzo su “IMDB”. Sto scontando la mia penitenza, invece che senza la carne, senza Facebook. La Chiesa prima del Concilio Vaticano II imponeva sotto pena di peccato mortale il digiuno nei 40 giorni prima della Pasqua. Ora le cose si sono un po’ ammorbidite, è rimasto però il Venerdì santo. Il Venerdì non si mangia la carne; per i restanti 40 giorni vi consiglio di astenervi da Facebook, ne avrete di sicuro giovamento.

Nel film che dicevo, c’è un piacione che si deve astenere da altro tipo di carne. E’ il modello del giovane americano che piace alle ragazze. Forse l’America ci ha riempito la testa di mezze scemenze, forse la nostra eredità era ben migliore; nostra di italiani, chiaro. Il paese di d’Annunzio, il paese dei santi. Ma c’è poco da fare, siamo americanizzati. Abbiamo un futuro nell’americanizzazione forse, oppure finiremo stroncati dal fatto che la nostra cultura non si confà con la loro e che la nostra estetica segue decisamente altri canoni. Difficile dirlo, difficile come confrontare i 40 anni di traversata nel deserto, i 40 giorni di digiuno e i 40 giorni di ammaestramento dopo la resurrezione… col disco di Xzibit e il film di Michael Lehmann.

Eppure noi da adolescenti abbiamo avuto in pasto di tutto, dalle massime di Cicerone alle perle di Hegel, dai film americani ai CD rock e hip hop. C’era la sapienza, era lì. Accanto c’erano le opzioni alternative, tra cui la droga e l’alcool. I media americanizzati per chi facevano il tifo? Toglietemi la curiosità: la cultura popolare americana che si è sparsa in tutto il mondo tramite la televisione, il protestantesimo decadente ma moralizzante, il mito americano teenageriale del saper conciliare il dovere con lo svago di chi la sa lunga, da che parte stava? Faceva il tifo per Cicerone o per le birrette? Bella domanda, l’educatore italiano di oggi farebbe bene a chiedersi chi deve ascoltare un adolescente di oggi tra Cicerone, i media americanizzati e il degrado “urbano”.

Siamo il paese della Montessori eppure ci educa la televisione, siamo il paese di Caravaggio eppure stravediamo per i SUV. Ma siamo sicuri che il male sia venuto per nuocere e basta? Altra constatazione: siamo il paese che fa scappare la Fallaci in America per insegnare agli americani a essere orgogliosi senza spacconaggine. Poi ci ritorna indietro il messaggio nelle nostre televisioni, come surrogato della cultura americana, il massimo! A me quel periodo mi ha formato, perché mi sento un po’ Neo Con. Forse mi sono convertito perché una lobby cristiana ha fatto produrre il telefilm Settimo Cielo, anche se non sono diventato metodista; o forse lo sono, a mia insaputa. I miei pomeriggi da liceale alternavano la versione di latino con i telefilm americani e sullo sfondo il mito rock dell’eccesso che mi sarebbe venuto a noia presto, forse troppo presto.

Nel 1555 è nata la Chiesa Anglicana e nel 2005 il messaggio tardo anglicano, quindi presbiteriano e quindi metodista è tornato indietro nel salotto di casa mia sotto forma di telefilm ed è diventato cattolicesimo. E dire che al liceo nemmeno facevo religione. Mi avvalevo della scelta di non avvalermi! E nell’ora guadagnata mi chiedevo tuttavia come bisogna essere. Gli scritti della Fallaci, la presidenza Bush e il ricordo di Reagan sono condensabili in salsa italiana? E’ una domanda in parte retorica, ma a me lo yankee con la pasta al pomodoro mi stride. So che gli estremisti di destra e di sinistra non vedono di buon occhio che i loro figlio stiano davanti alla televisione le ore. Passerò 40 giorni senza Facebook, il Venerdì santo non mangerò la carne.

Ma mi vorrei astenere anche dal darla vinta a chi critica la superficialità della cultura americana, tardo protestante, religiosa o laica che sia, decadente quanto basta, ed oppone fermamente il totale nulla con spirito autoritario. Oggi con gli schermi ultrapiatti poi il dilemma tra superficiale e profondo prende delle pieghe decisamente inquietanti. Ma se mai andrò a Belfast e una vecchietta mi chiederà se sono americano e se sto andando alla messa – questo è successo a mia sorella tre anni fa – non le risponderò “No-no”, come disse lei, ma un’approssimazione più vicina alla verità:  “Yes-yes”.

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Copertina: Jasper Johns, “Three Flags”, 1958, Whitney Museum of American Art.

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