MUSICA, intervista a Alessio Bondì: “La lingua del mio abisso è il Siciliano”

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di Jori Diego Cherubini

Alessio Bondì, palermitano, classe ’88, è autore di canzoni nuove ma dal sapore antico. Siciliane, nel senso dialettale, pop, folk, contaminate da costellazioni di suoni e culture. Lo abbiamo sentito in previsione della sua comparsa sul Monte Amiata, per un concerto imperdibile – insieme alla brasiliana Nêga Lucas, progetto A Santa duo – che si svolgerà venerdì 22 gennaio a Piancastagnaio (Si). 

Il tuo esordio, Sfardo, è stato accolto calorosamente da gran parte della critica. Un fatto quasi singolare in un paese dove spesso per “arrivare” sono indispensabili anni di sacrifici. Te lo aspettavi?

Non me lo aspettavo, ma in qualche modo “sentivo” che le mie canzoni potessero avere un seguito perché in primis io ne vado matto. Il percorso che mi ha portato al disco, fatto di anni di live, spettacoli, studi, ricerche, maturazioni, ripensamenti, viaggi, insomma la cosiddetta “gavetta” dalla quale ancora oggi credo di non essere uscito, mi ha dimostrato che la mia musica poteva piacere anche agli altri, lo leggevo negli occhi di chi mi ascoltava, unico comprovante che ho sempre aspettato e rispettato. Non penso di essere “arrivato”, semplicemente ho fatto un disco che è stato apprezzato.

Perché la scelta di usare il tuo dialetto (Siciliano), e non la più “vendibile” lingua di Dante?
In Italia ogni cuore parla una lingua diversa. Io l’Italiano lo parlo, lo domino, ma la lingua del mio abisso è il Siciliano. Se pensiamo che l’Unità d’Italia è cosa recente, e che l’Italiano entra in casa degli italiani con la televisione, e quindi da meno di una settantina d’anni, l’eredità linguistica di molti italiani non è l’Italiano ma l’Abruzzese, il Napoletano, il Salentino. La maggior parte dei nonni in Sicilia non parla benissimo l’Italiano ma è meravigliosamente siciliana, nell’umore e nella lingua che ha in bocca. Un passo verso la comprensione profonda della questione linguistica in Italia e quindi l’abbattimento del pregiudizio potrebbe essere la rimozione della parola “dialetto”, se non è il caso di usarla. Il Siciliano è una lingua, che non si sviluppa dall’Italiano ma dal Latino, proprio come la lingua di Dante. L’Italia è casa di molte lingue locali, tutte bellissime, delle quali giunge a noi una eco che viene da molto lontano.
In passato ti è capitato di fare l’attore. Perché hai preferito la musica?
 
Ho studiato come attore. Non ho perso questo approccio facendo musica, mi sento sempre profondamente legato all’urgenza di comunicare delle cose. Teatro lo puoi fare in mille modi, con la danza, con i burattini, solo con il corpo, solo con la voce, sulu ch’i capiddi. Se togli l’edificio teatrale che è solo una convenzione, da sempre esistono delle persone che hanno delle cose da dire e le dicono con una tale veemenza che altri si fermano e li stanno ad ascoltare: quella esperienza di comunicazione è il Teatro, ciò che si manifesta. Io non ho preferito la musica come fine ma solo come tramite, e l’ho fatto perché mi dà più gioia.
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Cosa ci dici del progetto A Santa duo, cosa dobbiamo aspettarci dalla serata di venerdì?
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A Santa Duo è un incontro, un momento di ascolto e di “canto” di due culture: quella brasiliana di Nêga Lucas e la mia Sicilia. Una chitarra e due voci che si intrecciano per esplorare il Sud come stato d’animo, come luogo di musica. Abbiamo scritto delle canzoni a quattro mani e abbiamo ri-arrangiato canzoni delle tradizioni siciliana e brasiliana. Sarà un live intimo, denso, profondo ma anche ritmico e sorridente. Nega ha una carriera che tocca vari continenti, dal Brasile all’Africa, all’Europa, Asia. Ha una grandissima voce ed un’anima profonda: quando sale sul palco dà veramente tutto e poi, chi l’avrebbe mai detto?, canta in siciliano da paura. Suonare con lei sarà un privilegio.
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Hai in cantiere un nuovo lavoro, per quando?
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Abbiamo appena confezionato uno spettacolo, Granni granni, un concerto per teatro, con scenografie che appaiono e scompaiono, luci, momenti di poesia, 6 musicisti sul palco: un viaggio musicale che parte dalle canzoni di Sfardo, dal concetto di “capanna” tanto caro alla mia musica, per diventare qualcos’altro ancora. L’esordio al Teatro Biondo di Palermo ha registrato il sold-out. Spero che nel futuro immediato lo si possa portare in giro per i teatri italiani. A un nuovo disco sto già pensando, le canzoni ci sono, ma adesso è il momento di Sfardo.
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