Letture. Manifesto Capitalista di Luigi Zingales

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Zingales

di Giovanni Fabbrini

Nato a Padova nel 1963 è professore alla Booth School Of Business di Chicago. Attualmente anche editorialista del Sole 24 Ore e collaboratore de l’Espresso; nel 2012 esce per Rizzoli il libro che maggiormente esprime le sue posizioni in ambito di dottrina politica generica, Manifesto Capitalista.

Il titolo non è dei più sfumati; oggi come oggi tuttavia il liberalismo viene espresso in vari ambiti e l’argomento forte su cui si fondano molti discorsi del centro sinistra è proprio quell’uguaglianza di opportunità difesa da Zingales.

Nella lettura della storia moderna dell’autore la rivoluzione francese avrebbe al centro dei propri valori l’uguaglianza nel rizrisultato finale mentre la rivoluzione americana la libertà, o se si preferisce l’uguaglianza nelle opportunità di partenza. La meritocrazia, intesa come uguaglianza nelle opportunità di partenza ha molti vantaggi: indebolisce il potere politico senza minacciare l’ordine pubblico, crea delle élites competenti, porta il paese a offrire dei servizi validi.

«Un giorno un mio amico si sentì male e la moglie gli propose di chiamare un amico medico. ‘Sto davvero male’ le rispose, ‘Ho bisogno di un dottore vero’. Quando la nostra vita è in pericolo, è fondamentale scegliere in base al merito e non alla fedeltà» (cit. p. 56). Possiamo chiederci se quello della moglie non sia il caso dei nostri politici, i quali si sono sempre adagiati nell’arbitrio delle nomine. Ma Zingales è stato nominato da Renzi, consigliere di Eni due mesi fa.

Centrale in quest’opera è la constatazione che l’anima del capitalismo americano, la capacità del ceto medio di emanciparsi tramite l’istruzione e la proprietà privata, sta venendo meno per via di fenomeni come il lobbysmo, che tendono a creare delle strutture verticistiche ad accesso clientelare e anche per causa di un crescente scetticismo verso l’iniziativa privata.

La meritocrazia, difesa a parole come se fosse un valore ovvio, è in realtà un concetto piuttosto debole e difficile da imporre, infatti se fuori dalla democrazia sembra non essere possibile, nella democrazia sembra essere avversato dalla maggioranza degli elettori, che difficilmente si proietta nel futuro come parte dell’élite.

Peraltro il populismo, soprattutto in Europa, invece di proporre l’abbassamento delle tasse e maggiore trasparenza, chiede l’uguaglianza nel risultato finale e un salario minimo garantito.

In America è ancora possibile un “capitalismo della gente”, riscoprendo le proprie radici, che non conoscono un ruolo passivo del cittadino. I paesi angli sassoni hanno sempre teso ad avere, più degli altri, una società civile consapevole di poter creare ricchezza dal basso acquisendo anche una emancipazione sociale che faccia da garanzia contro qualsiasi autoritarismo. Ma è più facile aspettare solo la manna dal cielo, demandando ogni potere al governo e sperando che ogni innovazione e spinta propulsiva venga dall’alto; così se le cose vanno bene sono andate bene e siamo contenti, se dovessero andare  male, il popolo sollevato da ogni responsabilità può sempre ricorrere al proprio sport preferito, la lagna contro il governo. Un brutto vizio che può avere come conseguenza un arretramento ulteriore dei paesi e delle culture mediterranee, che non riescono ad assorbire i concetti della libertà e della responsabilità.

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Copertina: Luigi Zingales; sotto copertina del Manifesto capitalista

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