Il Vaticanista – Matteo 5,13 – 16; Se il sale perde il suo sapore

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vangelo

—P—

di Giovanni Fabbrini

E’ arrivato il momento di trattare un argomento importante specie in un periodo in cui le principali religioni monoteiste cominciano a essere messe a confronto nel dibattito pubblico. Uno schema generalmente usato in teologia e storia delle religioni è quello per cui ci sono due mondi, provo a descriverli: nel primo un risultato ottimo è praticamente la normalità, ma ogni risultato raggiunto può essere azzerato di colpo capitolando nella nullità e nell’inefficacia.

Mi sembra di vedere i giovani italiani di buona famiglia cresciuti nel catechismo e ora lontani o lontanissimi dal sacro.  Nel secondo si raggiunge generalmente un risultato buono, ma mai ottimo e in questo caso si tratta di intellettuali aperti al mistero ma cresciuti in modo non particolarmente dogmatico. Tradizionalmente queste due diverse situazioni riguarderebbero rispettivamente i gentili e gli ebrei; tuttavia si può dare allo schema una copertura più ampia, andando esso così a riguardare due diversi approcci al mondo e alle problematiche della vita. La grande forza dei primi è una sorta di fedeltà inconsapevole unita a una bontà innata. E’ come se avessero in un angolo recondito della loro mente un alimentatore con un tasto “On – Off”. Tuttavia solo la fede cristiana vissuta e praticata rende funzionante questo alimentatore. I secondi dal canto loro hanno l’ancoraggio a una base sapienziale vasta, piena di stimoli.

Le forme esatte, il bisogno di regole e di disciplina, convivono beatamente con una curiosità elevata a valore: non hanno tutto, ma sono naturalmente legati a quello che hanno e difficilmente si ritroveranno senza niente. La scienza fa una reazione curiosa ai primi, stuzzicando la loro intelligenza e portandoli però al contempo a vedere in essa qualcosa di diabolico… da cui l’espressione “diavolerie” della scienza e della tecnica. Quando il loro sapere scientifico supera un certo limite, diventano dei fervidi anticlericali. Invece i secondi convivono bene con la scienza ammettendo la possibilità di una “scienza sacra”, cioè di una fusione tra la mentalità indagatrice e quella aperta al sovrannaturale, che poi è la loro vocazione essenziale (per avere un esempio basti guardare agli studi matematici di Newton sulla pianta del tempio di Gerusalemme). Quando nei primi il tasto “On – Off” comincia a essere pieno di polvere, senza che nessuno si ricordi di lui, può passare di lì qualcuno, forse un ragnetto che viene portato via dal vento o forse qualcuno che sa come premerlo per spegnere il sistema, una fidanzata, una mamma, una brigata di compagni… l’ammirazione per la scienza e via dicendo.

L’ateismo rientra decisamente nei gusti dei gentili, che per vocazione assolutista non amano le mezze misure, che fanno ragionare, ma sono a loro agio passando da un estremo all’altro. Il termine “combattere”, che i primi mettono in soffitta su consiglio della buona società e delle donne, comincia a essere visto con interesse dai secondi, ormai satolli di una riflessione sapienziale che ha il sapore di un ripiegamento. Le gilde commerciali, stanche dei privilegi di un’aristocrazia corrotta e deviata, si preparano a muoverle guerra nel suo stesso terreno; anche senza una discendenza atavica militare iniziano a pensare di avere buone probabilità di vittoria. Sul campo pratico si può vedere bene come ci sia chi riconosce con facilità il proprio peccato ma non ha il gusto per la disciplina e finisce così per snobbare il sacramento della confessione. La buona disposizione a riconoscere il proprio peccato si degrada prima in autoironia e poi in un’umiltà ostentata in modo uggioso e patetico. Dall’altra parte c’è chi fa più fatica a riconoscersi peccatore, ma vive la disciplina con gusto facendosi aprire le vie della vita, trova luce in essa e non snobba niente che funzioni in questo mondo.  I più avvezzi avranno già capito il riferimento evangelico del sale che perde il suo sapore e del concime che lo sopravanza (Mt 5, 13-16).

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Copertina: Vangelo secondo Matteo, Pasolini (1964), fotogramma.

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