Giovani d’Abbadia, una risorsa da tenere in considerazione

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Forse per la prima volta nella storia di questo strano paese si sta facendo largo una nuova generazione umanistica. Senza nulla togliere alle epoche precedenti – più razionali e pragmatiche rispetto all’attuale, capaci di coniugare lo sforzo fisico ad un’economia concentrata sulla territorialità, quindi sullo sfruttamento intelligente della risorsa turistico/alberghiera ma anche minerale – le nuove leve hanno forse disatteso le aspettative dei padri concentrandosi maggiormente su studi umanistici, quindi liceo al posto di istituto tecnico e università dove le materie in questione riguardavano per di più ambiti quali sociologia, pedagogia e comunicazione.

Una innovazione decisa, una risorsa per il territorio e al tempo stesso un taglio netto rispetto al passato dovuto anche ad un maggiore benessere generale (prima stabilizzato, adesso in ribasso). Attenzione però, non si tratta di “meglio” o “peggio” – ché l’arroganza di chi si sente migliore perché ha letto venti libri d’accademia, col tempo può risultare sterile egocentrismo (Philippe Daverio non è laureato) – ma di riuscire a integrare capacità, esperienze e conoscenze finalizzate al miglioramento del paese.

Dio solo sa quanto Abbadia necessiti di integrare il vecchio al nuovo, e viceversa. Facendo tesoro della tradizione rappresentata dall’Abbazia, dalla Macchia Faggeta, e in generale da persone che hanno navigato i mari mossi della politica. Dei vecchi saggi e dei buoni adulti disposti da una parte a tramandare le esperienze ma anche, dall’altra, ad ascoltare i ventenni e i trentenni (nonché i quarantenni ché la giovinezza è un momento destinato ad allungarsi, per fortuna e purtroppo) che scalpitano, o talvolta annaspano e inciampano ma insomma si muovono perpetuamente in cerca almeno di un’opportunità. Sarebbe imperdonabile da parte dei più giovani non ascoltare i consigli degli “anziani”. Al tempo stesso risulterebbe inconveniente per gli anziani non accorgersi in tempo di questa sferzata d’aria nuova.

Se proviamo a spostare il discorso all’ambito volgarmente elettorale (“la politica è sangue e merda” ebbe magistralmente a dichiarare il socialista Rino Formica, tenerlo a mente), si trasforma quasi in un obbligo: non tanto di implicare politicamente la nuova élite quanto di ascoltarla attentamente per non rischiare un domani di ritrovarsi fra le mura domestiche un cane di razza dal carattere indomito. Altro aspetto da non sottovalutare riguarda la fuga dei cervelli. Le destinazioni coincidono con Siena, Firenze, Torino, Pisa, Roma eccetera purché siano distanti dall’amata-odiata montagna. Invertire questa tendenza appare oggi più che mai cruciale. Specialmente se pensiamo che l’attuale forza-lavoro riguarda in larga maggioranza il settore primario – quindi operai dei fiori e delle pelli, tanti dei quali arrivati da Romania, Marocco, Albania e Polonia – e in minima parte quello terziario o della cultura in generale.

Uno degli obiettivi di questo sito scalcagnato è proprio quello di cercare di mettere insieme le eccellenze, indipendentemente dall’appartenenza politica, dalla storia e dall’età, fantasticando sul combattere i mulini a vento, razionalizzando (ossimoro), confrontandoci e dando voce a tante voci. Per il futuro ci aspettiamo che il “sistema paese”, e per paese è da intendersi proprio Abbadia, faccia i tripli sarti mortali pur di trattenere la risorsa più importante: i giovani. J.

In copertina: Mario Schifano, aut aut, 1960

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