Di buoni farisei

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di Giovanni Fabbrini

Dalle considerazioni fatte in precedenza, tre e quattro Domeniche fa, sembra che il Fariseismo vada evitato come la peste. E’ vero, ma c’è il rischio di un equivoco. Forse non bisogna scappare dal fariseismo, come se il fariseismo fosse un male a cui mettere una croce sopra; facciamo la tomba del fariseismo e non ci pensiamo più! Invece esiste un fariseismo “buono”; mi spiego meglio. Il fariseismo è un concetto bi-fase ed è quindi possibile individuare in esso una prima fase, positiva, e una seconda, negativa. Il fariseismo è composto da un predicare bene e un razzolare male. “Essi dicono e non fanno” (Mt 23, 3) “Purificate l’esterno della coppa e del piatto” (Lc 11, 37). Forse che il buon cristiano non debba lavarsi, avere una facciata decente, far cose che gli diano un prestigio?

Ecco una buona notizia: se il fariseo si lava, anche il cristiano può lavarsi; se il fariseo rispetta la Legge, anche il cristiano può rispettarla. Se il fariseo studia e si fregia di titoli, anche il cristiano può fare lo stesso. C’è un rischio che nasce da un equivoco bello grosso, quello di disprezzare il fariseo e fare quindi il contrario di ciò che egli predica. Ma egli predica bene. Anzi, oltre all’errore del fariseo, che sopravvaluta con stoltezza l’esterno rispetto all’interno, ci sia l’errore ancor più stolto di chi sopravvaluta per reazione isterica l’interno rispetto all’esterno. Certe eresie infatti hanno generato fenomeni come il miserabilismo. L’equilibrio sostanza e forma è invece essenziale. Per il fariseo il dovere diventa apparire e non essere con Dio. Avere la facciata di uno che è sistemato, che è bravo e riuscito diventa il primo pensiero, fonte di ogni affanno, per via di un mito duro a morire che i ricchi e i belli siano quelli baciati da Dio. Che importa poi cosa c’è dietro? Uno scheletro?

Magari dietro c’è un’alleanza ondivaga e flebile, un rapporto disagiato. O un uomo che non sa niente di sé. Il dovere intimo, quello che è, che nessun uomo potrà mai vedere o giudicare, è invece il primo battito cardiaco per importanza che il dover essere mette in atto su questo mondo, e nasce da una alleanza solida. Se fosse messo a rischio da un continuo voler sembrare a posto, da un continuo affannarsi per apparire, da un amare la cura per l’apparenza tanto da scordarsi cosa c’è ditero, sarebbe certamente una perversione. Ma ciò che i farisei dicono ha fondamenti solidi.

Il risultato è messo però al rischio dal compiacimento e dal bisogno di darsi riconoscimenti tra uomini invece che dall’amarsi per come si è cercando di migliorare nel nome di un’alleanza solida che sia fonte di un intimo senso del dovere, che prescinde da ogni giudizio umano. Viva dunque i principi ultimi del borghese conformista, purché siano puri e vivi. Abbasso il dover essere in un certo modo, che se lo leggi tra le righe significa dover apparire; o si ha un principio solido alle spalle, o lo si cerca. Non c’è aderenza alla forma che giovi. Per concludere, un sepolcro imbiancato è disprezzabile, ma una bella casa va comunque verniciata.

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Copertina: Giovanni Andrea Sirani (1610-1670), La Cena in Casa del Fariseo, 1652. Particolare. Certosa di Bologna, Chiesa di San Girolamo.

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