“50 sfumature di grigio” visionare con leggerezza fregandosene della critica

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—P—

di Chiara de Franceschi

Critiche. Critiche. Ancora critiche. Esce 50 sfumature di grigio e il mondo si ribella. Psicologi, sociologi, esperti di ogni tipo scendono in campo: propongono di boicottarne la visione, affermano che il film inneggia alla violenza sulle donne, che dev’essere vietato ai minori. Sembra invece uno di quei fenomeni che rientrano nel genere “purché se ne parli”, in tanti non hanno niente da dire, come forse il film stesso, ma parlano comunque, devono dire la loro.

Nessuno ha visto il film, nessuno ha letto i libri, ma tutti stroncano quello che è diventato, a torto o ragione, un fenomeno mediatico da 100 milioni di copie vendute nel mondo e 220 milioni di dollari incassati nel primo week-end di programmazione. Il film è bruttino, nulla da obiettare. La trama è piatta, abbastanza scontata; ma va detto che nessuno ha mai promesso un film stellare, che avrebbe rivoluzionato il mondo del cinema. A difesa del film possiamo dire che il punto di partenza (il primo romanzo della trilogia scritta da E.L. James) non è sicuramente un libro sensazionale; c’è il sesso, c’è la curiosità, ma la trama scivola lentamente verso il nulla, esaurendo presto il poco che ha da dire. I protagonisti lasciano il tempo che trovano: lei, Anastasia Steele, è giovane, inesperta, idealista, completamente all’oscuro di ciò che può nascondersi nella mente perversa dell’uomo di cui s’innamora.

Lui, quel Christian Grey che il libro ci lascia immaginare come una sorta di Dio che tutto può e tutto ottiene, inizialmente non colpisce: bello senza esagerare, quasi totalmente inespressivo, non riesce a lasciare il segno. Dimostra comunque di saperci fare, più o meno all’altezza di un ruolo che rimane scadente. Però, ammettiamolo, un Christian Grey, magari senza i suoi particolari gusti sessuali, un po’ lo vorremmo tutte; al primo appuntamento non la porta in pizzeria ma sorvolano Seattle a bordo dell’elicottero dell’azienda di cui Grey è a capo. Ma Grey è così, prendere o lasciare. E Anastasia, dopo essersene quasi immediatamente innamorata, decide di prendere. Si fa “iniziare” al mondo sadico del suo uomo, scopre con lui la misteriosa “Stanza dei giochi”: dubbiosa e intimorita all’inizio, vogliosa e consenziente subito dopo. I dubbi non la abbondano, è vero, ma decide comunque di provare a entrare in quel mondo così lontano dal suo, fatto di dominatori e sottomesse, contratti dettagliati da firmare, frustini, manette.

Ma la violenza non si vede; la nostra eroina è d’accordo, nessuno la costringe a fare niente. E quando il suo Christian, sfidato da lei stessa, oltrepassa il limite, non esita ad allontanarlo. Magari lui riesce a giocare le sue carte perfettamente: la fa innamorare, non senza continuare a ripeterle che non è l’uomo per lei, così che lei non riesca più a dire “no”, perché ormai nella è finita nella trappola. E’ un film che andrebbe visto con leggerezza, la stessa leggerezza che ha contraddistinto il romanzo. Ma c’è il sesso, c’è la sottomissione, quindi “non può essere leggero”, dobbiamo per forza parlare di violenza psicologica e stalker maniaci.

E se proprio dobbiamo vederla così, dobbiamo allora ammettere che libro e film non sono altro che un’occasione mancata: quella di andare più a fondo, di analizzare davvero quelle “50 sfumature” che possono contraddistinguere un essere umano. Di capire se deve esserci un motivo alla perversione umana, o se magari alcuni di noi sono semplicemente fatti così.  E di capire, soprattutto, cosa scatti nella mente di una giovane donna innamorata che per amore arriva a provare cose che mai immaginava potessero esistere.

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